2021
Massimo Gezzi
Bollati Boringhieri
I racconti di Massimo Gezzi, sin qui poeta e ora prosatore, scrittore marchigiano che oggi abita nella Svizzera italiana e insegna letteratura in un liceo di Lugano, sono racconti veri e non storie incompiute o abbozzi di romanzo. Racconti compiuti, ecco, modellati nell'impasto ricco di una scrittura essenziale e asciutta, che non gronda gocce inutili ma contiene quel che basta per armare la tenuta della storia. In letteratura il passo breve dei racconti costa ai loro autori fatica, legata alla compiutezza accelerata, alla sintesi (il romanzo costa altra fatica ma si distende nel passo lungo, ha tempo). Massimo Gezzi sa aprire le sue piccole storie intense e le sa chiudere, senza che il lettore abbia mai l'impressione di una incompiutezza, di una risoluzione accennata ma rinviata. Anche se poi, occorre dirlo, come ogni vera storia trascesa anche le storie di Gezzi conservano un loro sottile filo di enigma, di non detto (nella narrativa e nella poesia il non detto spesso dice molto). Le piccole storie di Gezzi sono delle "prises de vue" sul reale in cui vengono sorprese scene, persone, situazioni quasi da vita quotidiana, piccole cose che succedono (tranne in alcuni racconti in cui la tensione drammatica si annuncia più forte). Poi succede che subitaneamente accadano un imprevisto, un piccolo lampo, un gesto, un incontro che sbalestrano il suono basso del reale scontato e lo eccitano, lo pungono, lo stravolgono, lo trasformano in stupore, dramma, inquietudine, nostalgia. In quasi tutti i racconti di Gezzi si disvela a un certo punto una Epifania, una rivelazione di qualcosa che cambia e turba, illumina o sgomenta. Non esemplifico troppo, lascio come sempre al lettore il piacere e la fatica del viaggio in pagina. Solo qualche accenno. C'è l'infermiera di notte che si affeziona a un paziente che sta davvero poco bene ed è accudito da un bella moglie diligente ed enigmatica e l'infermiera scopre, origliando senza volerlo, una verità spiazzante. C'è un professore di liceo malato di fronte a una classe di allievi villani e impermeabili ma la verità semplice e dolorosa di una studentessa sconvolge la stasi del mutuo disprezzo in classe. C'è l'anziana moribonda che si nutre di visioni febbrili, c'è una sala da flipper abitata da orgoglio e cervelli e muscoli tesi in cui l'aspra tensione di insicurezza giovanile preannuncia l'esito di uno schianto. C'è il ragazzo fragile e bullo che viaggia su un bus senza il biglietto e si fa prendere da una nuvola nera di rabbia. E avanti così, lungo il cammino di brevi narrazioni in cui la vita accade e si imbatte in imprevisti o svolte. Il racconto che più mi ha intrigato e colpito è "Un rettangolo di sole", in cui un ragazzo sta con gli amici in un prato al crepuscolo in una collina di periferia di cittadina provinciale. Si giochicchia a calcio, si cazzeggia, si aspettano gli amici che sono scesi in moto a prendere birre e tranci di pizza e il protagonista vede un ultimo rettangolo di sole nell'erba, una specie di visione, la contemplazione mistica del luogo e dell'attimo, di una possibile felicità, di una sospensione che ferma il tempo. Poi il tempo viene squarciato dall'imprevisto, eppure la memoria (la nostalgia) di quella visione rimane.
La scrittura di Gezzi, dicevo, è essenziale, svelta, intensa. C'è un ritmo nelle frasi, nelle scansioni di punteggiatura, nella musica narrativa che porta con se le tracce della consuetudine poetica dello scrittore. Oso parlare di "realismo lirico".
Il titolo "Le stelle vicine" è preso da una frase di Steinbeck in esergo: "Ma qui si sta bene. E le stelle sono così vicine, e la tristezza e il piacere sono così intrecciati che sembrano la stessa cosa". La frase echeggia nella drammatica storia di un uomo fallito che vuole appiccare il fuoco alla propria azienda in rovina ed è memore di una remota e perduta felicità amorosa: "Mi viene in mente quella volta al mare, d'inverno, quando ho fatto l'amore per la prima volta con Mara. Una notte così, era. Niente foschia, silenzio, pace. La luna uno sputo nel cielo. Le stelle così vicine che pareva ti cascassero in testa".
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