2017
Diego De Silva
Einaudi
"Irene è una persona mite. Non le piace litigare, e meno ancora vincere. Trova stupido far valere - come si dice - le proprie ragioni, perché pensa che una buona ragione valga in sé. E' per questo che abbandona subito il campo quando qualcuno la sfida, e poco le importa se il suo disinteresse viene scambiato per viltà". Basterebbe questo affondo (così scorretto rispetto alla comune convinzione secondo cui occorre affermare in modo perentorio le proprie ragioni in un continuo duello controversistico) per incuriosire il lettore. E in appena 88 pagine (ampi spazi bianchi compresi) lo scrittore Diego De Silva (che già ci aveva piacevolmente sopresi con altri suoi romanzi) cesella con simili scaglie la sua breve, delicata, intensa, tenera (tanti aggettivi: li merita) storia d'amore. Un amore, del resto, appena intuito, guardato dall'autore e da noi lettori con rispettoso distacco nel momento del suo possibile (probabile?) avvio. Il resto, che viene prima, è l'accostarsi parallelo di un momento di vita di due persone, un uomo e una donna, che non si conoscono (si conosceranno?), entrambi ammaccati e diciamo pure feriti, ma senza strepito, da accadimenti sentimentali, entrambi adesso un po' soli eppure, nonostante la cautela di chi ha "già dato" e un po' sofferto, pronti all'appetito di vita. La trama è delicata, allusiva, fatta per rapidi passi nel presente e nel passato. Irene e Nicola, per il momento, hanno in comune un bistrot accogliente che entrambi frequentano (caffè mattutino, bicchiere serale, cene) ma senza mai incrociarsi (tale è il capriccio della casualità). Si incontreranno? Chissà. Si diceva delle numerose gemme di pensiero dentro le pieghe di questa storia, che si legge in una sera o due ma va comunque letta molto adagio. Faccio un altro esempio. A un certo punto Nicola dice a un giovane cameriere buono e simpatico di dargli del tu. L'altro, contento, però risponde: " Se non lo faccio subito, si offende?". E aggiunge: " E' solo che, come le posso dire, non mi viene così da un momento all'altro. Magari la prossima volta?". E Nicola risponde. "Hai ragione, hai assolutamente ragione. Prendi il tempo che vuoi". E pensa che invece di solito scattano, nelle relazioni sociali, quelle "reciprocità dovute all' istante", quelle "adesioni immediate", in luogo di di dire quel che si pensa davvero e chiedere tempo per darsi del tu, per esempio, ma poi per tutto. C'è invece questa reticenza nel dire quel che si pensa davvero dentro e recitare per contro la parte sociale e compiacente che crediamo si esiga da noi: "E' per via di questa reticenza che quando ritroviamo i nostri pensieri nei libri, sembra che ce li tolgano di bocca con tutte le parole. Allora li rivalutiamo". I libri servono anche a questo, a farci presenti le cose che non sappiamo più di sapere.
Questo romanzo breve è un piccolo gioiello: la privata, delicata trama è avvolta in un intenso, anche se piacevole, manto di annotazioni, pensieri, sensazioni in cui il lettore, pur avendo da parte sua storie diverse, sente tuttavia di riconoscersi per istinto e per affinità psicologica. Diego De Silva è già molto noto e apprezzato per altri romanzi, soprattutto quelli con protagonista l'avvocato Malinconico, con i loro titoli già invitanti: "Mia suocera beve", "Non avevo capito niente", "Divorziare con stile", "Arrangiati, Malinconico". Con "Mancarsi" (ovvero sfiorarsi e forse mai incontrarsi, ma anche nel senso di "tu mi manchi,", forse) lo scrittore, 53 anni, napoletano, ci regala un piccolo congegno perfetto. Lo stile è accurato, attento in modo minuzioso alle nervature di gesti e caratteri, alle fragilità e ai desideri di persone alle prese con la vita vera, non quella teorizzata. La modalità narrativa ricorda un po' quello delle storie parigine del premio Nobel francese Patrick Modiano ma, oso dirlo, De Silva non annoia, Modiano qualche volta sì.
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