Circolo dei Libri

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08novembre
2019

Georges Simenon

Adelphi

Nel 30mo della morte di Georges Simenon (1903-1989) Adelphi manda in libreria la traduzione di un suo romanzo del 1952, teso, persino inquietante per la inesorabile messa in scena di cattiverie nascoste, quasi una parafrasi della famosa "banalità " del male. Ma con sontuosa potenza di stile. Quando per Simenon si parla dell'aspetto stilistico bisogna riferirsi, insieme alla acuta capacità di sondare nel profondo dei grovigli d'animo delle persone, anche e forse soprattutto alla grande forza delle atmosfere: luoghi, odori, luci. Il tutto tratteggiato con una scrittura che non ha una parola di troppo e non una di meno. Subito un assaggio: due giovani amiche stanno fuggendo in treno a Parigi dalla provincia e si apprestano ad arrivare, un poco impaurite: "Si fece buio ben prima che si avvicinassero a Parigi, e fuori non si vide nient'altro che semafori rossi o bianchi, le luci dei treni che si incrociavano, a volte la costellazione di un villaggio o di una piccola città in cui i lampioni disegnavano la geometria delle strade, più spesso fattorie isolate nella campagna, la luce fioca di una finestra dietro la quale viveva della gente (...), fino a quando non apparvero i grandi edifici scuri della periferia che sembravano incombere sul treno con tutte le loro finestre illuminate (...) Ora il fumo della locomotiva, scorrendo lungo il convoglio, si attaccava ai finestrini, nascondendo a tratti il paesaggio, ma il selciato di un pezzo di strada che erano riuscite a intravedere era bagnato, e sui marciapiedi la gente teneva l'ombrello aperto. La stazione odorava di pioggia e di fuliggine. Le sagome erano più nere che altrove, le persone che si accalcavano verso l'uscita invisibile avevano un'aria miserevole, si muovevano in fretta, con lo sguardo vacuo, come senza meta, spinte da una forza misteriosa". Il grigio della sera, asfalti bagnati e lampioni, l'odore della pioggia. Perfetto. In quanto alla storia, fatta salva la regola di non rivelare lo sviluppo delle trame, basti qui l'avvio: due giovani ragazze, amiche strette ma anche diverse tra di loro e alternanti fra intimità e diffidenze, vanno " a stagione" a fare le inservienti in una pensione turistica modesta in riva al mare, nella Francia rurale. Sylvie è bella e lo sa, compiaciuta della propria avvenenza, della propria sensualità che eccita gli animi maschili. Marie invece è bruttignaccola, perdipiù visibilmente strabica. Sylvie "alluma" gli uomini e ne approfitta, anzi cova in cuor suo il disegno di usare quel potere erotico e un po' malefico per cercare di liberarsi dalla povertà e dalla mediocrità sociale da cui proviene. Marie lo intuisce, ne è irritata, restando tuttavia incollata all'amica come una sua coscienza rimproverante. Accadono cose, le due amiche decidono uno strappo e di azzardare il viaggio verso Parigi, verso un futuro. La bravura di Simenon nel narrare l'epopea fosca e femminile di queste due ragazze così diverse e allacciate nonostante tutto, è indiscutibile. Può nondimeno turbare un poco la cupa descrizione di una atona amoralità, nel senso della assenza di ogni pur labile impeto di bene. Quando vuole affondare il bisturi nel male "normale" degli essere umani, Simenon va giù forte. Persino ossessivo.