2024
Barbara Pym
Astoria
Quattro impiegati d’ufficio nella city londinese degli anni Settanta, quattro ultrasessantenni prossimi alla pensione, da anni rinchiusi ogni giorno nella stessa stanza di lavoro: due donne, Marcia e Letty, e due uomini, Edwin e Norman. È questo il “quartetto in autunno” dell’ultimo romanzo di Barbara Pym (1913-1980) laddove l’autunno è quello della vita. Infatti per le due donne il pensionamento è arrivato, svuoteranno i loro cassetti dalle loro poche cose personali, parteciperanno a un patetico aperitivo d’addio a base di povere tartine e qualche bicchiere di sherry, e poi via, verso il malinconico viale solitario del tramonto definitivo. Solitari sono anche i due maschi, i quali continueranno a lavorare ma ancora per poco, poi anche loro avranno la festicciola imbarazzata d’addio. In effetti la solitudine è la condizione che accomuna questi quattro colleghi, i quali in ufficio hanno buoni rapporti amichevoli ma senza troppi slanci, le solite cose abitudinarie del lavoro in comune, come la pausa per il tè, i pettegolezzi, le minime consuetudini. Per il resto ognuno dei quattro, giunta la sera, si riconsegna al proprio mistero privato, alla stanza in affitto o al piccolo appartamento, ai riti delle cene solinghe. Questa cantata dolente sul finale comune di vita di gente comune è l’ultima fatica letteraria di una scrittrice, Barbara Pym, che fin lì aveva mosso le sue storie dentro la realtà quotidiana e dimessa di pacifici quartieri londinesi o di villaggi di campagna appena fuori Londra, su un sottofondo di piogge e di precari giorni sereni, molto spesso nei dintorni di quiete parrocchie anglicane dove talvolta i preti sono sposati (e allora la moglie del vicario o del parroco fa le veci di first lady della canonica) ma spesso sono celibi e allora suscitano inconfessate curiosità fra le parrochiane nubili che spiano il pastore d’anime dalle loro finestre ben schermate da tendine ricamate e talvolta osano fabbricare calze di lana da regalare al parroco in vista dell’inverno. Le passioni sono appena abbozzate, poco dette e molto taciute, in un continuo tintinnìo di tazze di tè. È l’Inghilterra basso borghese e devota (almeno formalmente), conservatrice, legata a piccole manie e fondate tradizioni quella che Barbara Pym mette in scena con una formidabile arguzia e con empatia compassionevole. Si sorride molto, leggendo i suoi libri (è un ridere intelligente, ecco) e quando si incontra la malinconia si capisce che spesso basta una buona tazza di tè con quattro chiacchiere per renderla inoffensiva. In Italia le case editrici attente alla scrittura femminile (e/o e La Tartaruga e adesso Astoria) hanno tradotto per fortuna i libri di questa autrice acuta, raffinata e ottima conoscitrice della minuta grammatica della natura umana. La premiata coppia di bravissimi scrittori a quattro mani Fruttero & Lucentini a suo tempo celebrò la scrittrice con entusiasmo, accendendo anche in Italia il desiderio di leggerla, peraltro ben ripagato. Questa volta, nell’ultimo suo romanzo, Barbara Pym cambia registro ambientale e si occupa, come detto, del finale di vita di quattro persone sole alle prese con le piccole incombenze dell’esistenza al tramonto (la spesa attenta, i pasti oculati, le piccole manie, la malinconia della solitudine e un mai interrotto filo di speranza , un desiderio di cose belle e buone per l’ultimo tratto di viale). Chi ama la narrativa anglosassone minimalista tenga d’occhio i libri di questa scrittrice, fortunatamente tradotti anche in italiano.
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La versione di Barney
Mordecai Richler
Adelphi - Libro precedente
Forte come la morte
Guy de Maupassant
Garzanti