2019
Claudio Magris
Garzanti
Cinque racconti di Claudio Magris, una prosa densa, sontuosa, stilisticamente raffinatissima. Una lettura anche difficile, come è giusto per la degustazione di una scrittura intensa, musicale, pensata con l'intelligenza del giudizio e i sensi della memoria. Magris mette in scena la vecchiaia e racconta cinque uomini anziani di testa colta e malinconia in agguato, dal vissuto intenso e anche dolente. Ognuno si sente un poco estraniato da un presente precario, sfilacciato. Il respiro silenzioso della memoria che gonfia i pensieri e mescola le carte del tempo sembra corteggiare la teoria della relatività di Einstein, "il tempo curvo". Il racconto che dà il titolo al libro è il più difficile, filosofico, allusivo. Gli altri sono più afferrabili ma ovunque serpeggia, ineffabile, l'intreccio di detto e non detto, accaduto o non accaduto. E quante perle dentro i gusci perfetti della scrittura ("invecchiare diviene il simbolo del sopravvivere, grazie"… a una tecnica di ritrosia e di ritirata in minimi spazi di libertà vigilata"). La prosa fluisce lenta, avvolta in flutti e spume, come un largo fiume maestoso. L'età anziana delle persone, a dispetto del salutismo e del tardivo giovanilismo d'abito, tecnologie e desideri, comporta inesorabilmente il passo lento, sereno o amaro che sia, verso i bordi della scena, verso le quinte in ombra, oltre la cara luce dei riflettori sul palcoscenico vivente. A parte chi muore giovane perché caro agli dèi, chi ha la fortuna e la fatica di diventare vecchio conosce questo trascolorare dei nitidi profili, delle robuste passioni, del vitalismo. I personaggi anziani di Magris, il quale ha lui stesso appena compiuto gli 80 anni, sono tutti sensibili, complessi, colti: scrittori molto noti o meno noti, un musicista, un uomo ricco e imprenditore. Il loro cammino di vita è giunto all'autunno della malinconia vespertina. Viene in mente la bellissima sintesi fulminante di Leonardo Sciascia nel suo "Il giorno della civetta ( "la lunga memoria e il breve futuro": fra l'altro, per caso, un perfetto endecasillabo), per dire che c'è un punto della vita in cui il fieno in cascina della memoria è tantissimo mentre poco ancora, fuori, rimarrà erba nuova da tagliare, forse pochissima. E il ricordo di cose lontane si fa struggente e la profezia per il futuro si fa incerta, distaccata. Magris evoca l'estraneità psicologica e anche biologica dell'anziano nei confronti del rumore forte del mondo, dal quale lo separa un velo, una inesistente ma percepita lastra di vetro. Nell'animo dei personaggi canuti di Maris ci sono uno scetticismo dolente, una calma disillusione, un amaro, mite distacco dalle umane e accese baruffe delle ambizioni e delle passioni. Poi però la memoria è labile e ambigua e tuttavia presente ai sensi. E il "rimembrare " leopardiano prende qui la forma di una narrazione interiore, con pochi dialoghi e molti pensieri. Riassumere qui qualcosa delle labili trame dei racconti significherebbe mancare di rispetto alla grande penna (o tastiera) di Claudio Magris, alla sua sontuosa scrittura allusiva.
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