Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

27gennaio
2017

Giorgio Orelli

Marcos y Marcos

Furono pubblicati 57 anni fa, nel 1960, dall'editore Lerici, in una collana diretta da Mario Luzi e Romano Bilenchi. Chiusa la "Lerici", il libro era esaurito da tempo. L'editore italiano Marcos y Marcos ripresenta ora questo libro così signficativo per la narrativa ticinese (e italiana) del "˜900. Orelli racconta sensazioni impressionistiche, tocca inquietudini interiori fra allegrezza giovanile, malinconie, sentimenti smagati. La sua prosa risente bene il timbro lirico, qua e là risuonano persino stilemi ("codesto", per esempio) che rendono Orelli in qualche modo contiguo alla vena narrativa degli importanti autori toscani di quegli anni, dallo stesso Bilenchi a Pratolini, a Cassola, a Cancogni, altri. La scrittura di Orelli è minuziosa, curata, limpida. Un esempio: in treno, in un giorno di pioggia: «Rimasto solo nel suo compartimento il Gandolli trasse di tasca un calepino e cominciò a disegnare teste femminili, che si somigliavano tutte. Poi scoprì ch'era più divertente tracciare un volto sul vetro appannato del treno. Gli venne abbastanza bene, chiuso in un ovale; e, cosa strana, benché lo deturpassero rivoletti o spiritelli sempre più ramificati, ne rimaneva inalterata l'espressione, talché un'ora più tardi, alla fine del viaggio, era ancora riconoscibile dietro a quel pianto intricato.» Oppure: «guida stupendamente un'auto non pescecagnesca né sparuta, che tiene benissimo la strada e ha un cuore che sfarfalla con fedeltà commovente». I bellinzonesi possono trovare tra le righe luoghi riconoscibili: «Mi ritrovai con Dob (ndr: il pittore Dobrzanski) di tra i portici"…Un'altra mattina, mi ferma che sto intenerendomi sopra la frutta e gli erbaggi vicino al Caffè Rubizzo"…» (molti anni fa: il Caffè Rubino e il fruttivendolo Bozzini di via Camminata"…). Due giovani fidanzati vanno adagio in bicicletta in una sera d'estate, già quasi in campagna. A nord di Bellinzona c'erano allora i bagliori della "Valmoesa": «Levando poi lo sguardo, vide l'imbocco della valle tutto acceso del fuoco fumoso degli altiforni, dentro cui si rincorrevano le luci bianche, quasi natalizie, d'una giostra». E poi ci sono i villaggi dell'infanzia e delle radici, c'è Prato Leventina e c'è un accenno a Bedretto e quei due paesi sembrano indicare il maschile e il femminile della vita:"… «Una notte ricordo, era la vigilia di Natale, (tornavo) e avevo una valigia gonfia di libri e panni sporchi; la notte era tanto bella che a lungo mi fermai, seduto sulla valigia, a guardare il mio paese scintillante di neve, e tutta l'alta valle nella luna. Lassù, nel paese di mio padre, i prati sono in ripido declivio, l'inverno non finisce mai, la valanga un anno ha fatto più di trenta morti. Qui invece il tempo ha scavato una conca dolce, vi è nata mia madre"…». Nei racconti c'è talvolta la traccia diretta di versi poetici orelliani. Nella poesia "Dicembre a Prato" si legge: «Fruga il sole, che cosa non riaccende!/Dicembre è così mite che gli uccelli di passo non abbandonano le alte pasture». E la prosa: «Un ventotto dicembre tiepido come questo, a più di mille metri, io non lo ricordo. La poca neve sgocciola dai tetti, e tutto scricchia e si sfa come al mese d'aprile"… ". Sono noti i versi della poesia "Nel cerchio familiare": «Entro un silenzio così conosciuto/ i morti sono più vivi dei vivi». Ebbene, in un racconto il narrante vede muoversi qualcosa dietro la finestra buia della casa abbandonata dove aveva vissuto lo zio che intagliava il legno: ma è solo il vento che attraverso un vetro rotto muove una tendina: «Ombra, sgomento di un attimo"… Ma poi sento che nessuno è veramente assente, entro un silenzio così conosciuto. E mio zio è là, nella stanza"…». Due amici camminano verso l'Ospedale San Giovanni, cui appena viene cambiato il nome: «...su , verso l'ospedale San Filippo, ch'era un'arca da cui vedevamo uscire, per recarsi a un grotto fortunatamente vicino (ndr: non c'è più"…) qualche malato con le stampelle, o, svelta, un'infermiera, o una mezza infermiera, un'inserviente aspettata in un cantone da un motocilista cascuto. Le suore di San Vincenzo, se a una giusta distanza trascorrevano coi loro alati cappelli bianchi, non ci saremmo stupiti di vederle volare su qualche pino rappreso nel sonno della collina"…». Non solo le suore spiccano il volo: dalla prosa di Giorgio Orelli, davvero, si alza, già tutta presente, l'ala della sua poesia.