Circolo dei Libri

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18aprile
2009

Bill Bryson

Ed. Guanda (Narrativa straniera)

"Nel complesso, la mia infanzia è stata abbastanza buona. I miei genitori erano pazienti e normali, su per giù. Non mi tenevano legato in cantina. Non mi chiamavano "˜Quello'. Sono nato maschio e mi è stato consentito di rimanerlo". Comincia così la storia di un'infanzia americana negli anni Cinquanta, in una stagione di vita doppiamente un po' candida, un po' ingenua e un po' stupita. Doppiamente perché quel candore unico che si addice all'infanzia a guardare bene dentro le pagine del romanzo si addiceva anche a quella particolare e unica stagione di una nazione e di un popolo, gli U.S.A, che uscivano dalla tensione della guerra mondiale e si incamminavano lungo la febbrile e speranzosa strada della ripresa, del boom economico, delle meraviglie tecnologiche che, si sussurrava, stavano appena dietro l'angolo. Un'infanzia privata si iscriveva in qualche modo, insomma, dentro una specie di infanzia americana collettiva. Bill Bryson oggi ha 58 anni, ha girato il mondo , i mestieri e la vita, ha scritto libri divertenti e di successo (ma mai banali: l'umorismo riuscito è sempre il segno di una benevola grazia sparsa su chi lo sa esprimere), alcuni dei quali tradotti anche in italiano (l'ultimo, spassoso ma anche didattico, si intitola "Breve storia di (quasi) tutto", edito da Guanda). Bryson racconta appunto come fu bambino in un'America che viveva anni di stupore: tutto era come nuovo, tutto aveva, per breve tempo, l'aura di un incanto in attesa di decadere presto, purtroppo, a consumismo ripetuto e compulsivo, senza più stupori ingenui. Basti l'esempio dell'automobile (le celebri "auto americane " di cui avevamo sentore cinematografico anche qui da noi): ricorda Bryson che "la gente era così innamorata della propria auto che cercava più o meno di viverci". Il libro corre spedito, divertente, cronachistico ed emotivo, con giovanile autoironia. Contiene anche fotografie tolte dall'album di famiglia e anche articoli e illustrazioni di giornali d'epoca che oggi ci risultano strani o comici ed allora erano seri. C'è persino una squillante pubblicità di sigarette contenuta in una rivista di una società dei medici, con il disegno del pacchetto e la scritta "I medici fumano Camel!": oggi quei dottori sarebbero considerati dei criminali. Insomma si fumava, si mangiava quel che si voleva senza salutismi ideologici, i ragazzi uscivano in pattini senza caschi nè ginocchiere e leggevano i fumetti quieti di Disney o di Batman e Robin mentre le loro mamme scoprivano i primi cibi precotti e nel deserto del Nevada si facevano esperimenti nucleari e il presidente Eisenhower e il capo del Cremlino Nikita Kruscev conducevano i due blocchi della guerra fredda. Tutto era dunque un po' nuovo e un po' goffamente sperimentale. Ma Bill Bryson non è un buonista e ci racconta anche della persistente e diffusa cappa di razzismo contro i negri, dato quasi per naturale e scontato soprattutto nella cosiddetta America dove una giuria di bianchi poteva ancor assolvere due ragazzi bianchi che avevano ucciso dopo averlo massacrato di botte un ragazzo di colore colpevole soltanto di aver fischiato maliziosamente per strada dietro a una donna bianca. Insomma, nel mondo dei sogni scintillanti e del maccartismo ossessivo il piccolo Bill Bryson sta diventando un americano grande e, raccontandolo, si diverte. E ci diverte.